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Ideologie alla base delle logiche abiliste

Ideologie alla base delle logiche abiliste

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In questo articolo cercherò di illustrare alcune ideologie alla base delle logiche abiliste.

Il darwinismo sociale

Una delle ideologie più importanti che giustifica la necessità di una gerarchia sociale è il darwinismo sociale. Tale teoria sociale emerge alla fine del 1800 e si basa sulla “sopravvivenza del più forte”. I darwinisti sociali sostenevano che gli esseri umani, come gli animali, sono naturalmente competitivi e quindi, quelli con determinate caratteristiche vantaggiose, hanno l’obbligo di dominare quelli con tratti inferiori o svantaggiati. Secondo questa teoria alcune categorie di soggetti a causa della loro debolezza non sarebbero sopravvissute non meritando un’educazione costosa e interventi medici che li mantengano in vita abbastanza a lungo da procreare e rovinare ulteriormente il quadro genetico. Il darwinismo sociale faceva sembrare le disuguaglianze di gruppo inevitabili. Perciò le politiche spesso assumono forme di trattamenti discriminatori che comportano il controllo, la segregazione e l’omicidio di persone provenienti da una varietà di gruppi stigmatizzati.

L’idea che le persone disabili siano incapaci di compiere alcune azioni autonomamente e il loro ricorso agli altri per rispondere a particolari esigenze si riscontrano con la necessità umana di sentirsi indipendenti e di vivere in modo indipendente la propria vita. La necessità di aiuto quotidiano può indurre le persone con disabilità a sentirsi un peso per la società, per la famiglia o per gli amici. Questa percezione può trovare la sua origine nel fatto che molti sistemi sociali sono costruiti sulla teoria darwiniana della “sopravvivenza del più forte”. Per questo motivo la richiesta di aiuto o di assistenza veniva percepita come segno di debolezza.

Il Movimento Eugenetico

Il Movimento Eugenetico fu solo la base e l’inizio di una storia di massacri, sterilizzazioni forzate e stermini nei confronti di persone con disabilità. Oltre alla sterilizzazione obbligatoria, il darwinismo sociale continua ad essere utilizzato per giustificare la reclusione per coloro a cui viene diagnosticata una disabilità psichica o intellettiva. Infine, l’eutanasia – la pratica di rifiutare i trattamenti salvavita o chi intenzionalmente vuole porre fine alla propria vita per alleviarne il dolore e la sofferenza – è stata a lungo razionalizzata tramite ideologie del darwinismo sociale e dall’eugenetica.

Secondo le teorie evoluzioniste una delle principali cause del pregiudizio deriva dalla predisposizione biologica che permetteva agli individui delle prime società di cacciatori‐raccoglitori di sopravvivere. L’idea era che coloro che hanno ereditato la tendenza ad essere attenti nei confronti del pericolo avevano maggiori probabilità di sopravvivere, riprodursi e trasmettere questi stessi tratti ai loro figli. Alcuni pregiudizi sulla disabilità, quindi, potrebbero essere un residuo evolutivo di coloro che hanno ereditato un sistema di prevenzione delle malattie a cui sono diventati eccessivamente sensibili.

Storicamente l’uomo è portato a essere spaventato da malattie, epidemie o virus e questo spesso si riflette nella paura stessa della disabilità. Anche per questo motivo le persone disabili provocano repulsione e sono trattate come se fossero contagiose, addirittura con gesti di disgusto. Sono quindi spesso isolati ed evitati dai luoghi pubblici favorendo fenomeni di segregazione ed esclusione.

Cosa teme l’essere umano?

La disabilità ricorda alle persone tutte che forza, intelletto e linguaggio non sono né garantiti né permanenti.

Questo concetto si esprime in una delle più grandi paure dell’uomo, talvolta inconscia: la paura della malattia e della morte. Tutto ciò che rende vulnerabile spaventa e tendiamo a non soffermarci troppo o demonizzare completamente tali pensieri, proprio come avviene per la disabilità. Gli individui devono aver ben presente che un incidente può capitare a chiunque o che la vecchiaia può inficiare varie funzioni vitali. Quindi, la disabilità può essere una possibilità per tutti.

Il fatto che chiunque possa diventare disabile in qualsiasi momento è un’idea molto intimidatoria per la maggior parte delle persone. Infatti, si preferisce non pensare a tali possibilità. Allo stesso tempo, molti si impegnano per evitare cose che sembrano allontanarli da una prospettiva di una “vita degna di essere vissuta”. Infatti, ciò che significa essere completamente umani è spesso descritto in termini di abilità – linguaggio, razionalità e indipendenza – che distinguono gli esseri umani dagli animali.

Alcune delle prime idee sulle origini del pregiudizio sulla disabilità si concentrano sulle preoccupazioni “esistenziali” sulla fragilità della vita, lo scopo della vita, e quello che richiede una buona qualità di vita. Ad esempio, viene proposto da alcuni studiosi che atteggiamenti negativi verso le persone disabili erano il risultato di una visione spaventata delle loro condizioni. Per questo sono così evitati. Le persone usano spesso strategie inconsce o “meccanismi di difesa” per sfuggire alla consapevolezza della propria fragilità, negando i propri limiti ed evitando di ricordare che la disabilità è un destino che potrebbe capitare a chiunque.

Il peso degli standard di bellezza

Alcune persone hanno limitazioni che sembrano discordanti dagli attuali standard di bellezza. Si generano delle comparazioni con l’immagine del proprio corpo, la fisicità e la presunta autonomia. Inoltre, quando viene chiesto alle persone di immaginare com’è la disabilità queste tendono a descrivere il peggio. Secondo numerose opinioni le vite dei disabili sarebbero tragiche e loro stessi non sarebbero mai in grado di far fronte o adattarsi a questa eventualità. Infatti, alcuni gli studi dimostrano che le persone sottovalutano la propria capacità di riprendersi da condizioni avverse (Gilbert et. al. 1998). Al contrario, molti tendono a credere che il proprio benessere sarebbe compromesso dalla disabilità. Pertanto, potrebbe aver senso che proiettino questi pregiudizi sui disabili, trattandoli come se le loro vite fossero tragiche. Questo atteggiamento può anche provocare espressioni di aiuto indesiderato e pietismo oltre a paura ed evitamento.

La “Teoria della gestione del terrore”

La “Teoria della gestione del terrore” (TMT) spiega il pregiudizio come una strategia difensiva utilizzata per proteggere la psiche umana dalle paure esistenziali sulla fragilità della vita e l’inevitabilità della morte. La teoria sostiene che oltre ai bisogni di sopravvivenza, anche gli esseri umani hanno sviluppato capacità sia consce che inconsce da cui proteggersi in caso di minacce al proprio benessere. A differenza di altri animali, gli umani sanno che un giorno moriranno e questa consapevolezza può essere per loro terrificante. Un modo per gestire questa paura e tenere lontani questi pensieri sulla mortalità è quello di impegnarsi in attività culturali/sociali che diano senso alla vita.

Secondo questa teoria questo è il modo in cui le persone ricavano l’autostima. Allo stesso tempo, quelli che si discostano dagli standard culturali sono spesso svalutati. Secondo la Teoria della gestione del terrore, una funzione importante di qualsiasi cultura è fornire ai propri membri visioni realiste sulla realtà. Queste “visioni del mondo” includono ideologie o credenze religiose su come comportarsi e come le persone possono trovare uno scopo nella loro vita. In questo modo contribuirebbero a ruoli sociali specifici: genitore, studente, insegnante e così via. Culture e sottoculture diverse sostengano valori e punti di vista diversi sullo scopo della vita e su ciò che è considerato “normale”. Tuttavia, tutte le culture hanno sistemi di credenze che dettano come avere successo e cosa succede alle persone che violano importanti standard di comportamento.

Questa teoria spiega bene come avvenga la costruzione del pregiudizio nei confronti di persone con disabilità.

Il Progetto Aktion T4

Come tutti sappiamo le persone disabili hanno sopportato una lunga storia di persecuzioni, dall’istituzionalizzazione allo sterminio. Queste azioni, in particolare conseguentemente alla Seconda Guerra Mondiale, non sono mai state considerate come crimini di guerra ma come omicidi volti a liberare le famiglie da una “vita di sacrifici”. Basti pensare al progetto “Aktion T4” della Seconda Guerra Mondiale in cui si iniziò con l’eliminazione dei bambini con disabilità fino ad arrivare ai disabili adulti. Hitler le riteneva “vite indegne di essere vissute”.

Proprio con le persone disabili iniziò il genocidio nazista estendendosi successivamente con lo sterminio di ebrei e zingari. La difesa della razza non è solo un principio cardine della filosofia tedesca, ma affonda le sue radici nelle teorie sull’ereditarietà e sull’evoluzione della specie, con importanti contributi che vennero dalle teorie lombrosiane. A Lombroso si deve, infatti, una prima classificazione degli esseri inferiori, mutuata poi dal nazismo, secondo cui esistevano prove fisionomiche per determinare la delinquenza e quindi l’inefficienza dell’essere umano.

Il coinvolgimento di Hans Asperger

Hans Asperger, che gettò le basi per la definizione della “sindrome di Asperger”, ebbe un ruolo fondamentale nello sterminio dei bambini con disabilità durante il Terzo Reich (Baron‐Cohen, S., 2002). Egli utilizzò la diagnosi di autismo per il “progetto eutanasia”. Nei campi di concentramento Asperger cercava le caratteristiche più funzionali delle persone con autismo e selezionava chi sfruttare per la causa nazista mentre tutte le altre venivano condannate a morte. Hans Asperger, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, continuò a lavorare come medico per oltre trent’anni. Queste vicende furono di scoperta recente e quando fu coniata la definizione di “sindrome di Asperger” né gli scienziati né la comunità autistica erano a conoscenza del suo coinvolgimento nel nazismo. Proprio per questo motivo oggi molte persone affette da autismo scelgono di non identificarsi più come persone con l’Asperger conoscendo il passato di questo medico.

Tornando allo sterminio delle persone con disabilità nella Seconda Guerra Mondiale si evidenzia anche il “problema” economico. Esso riguardava le persone disabili: l’eliminazione dei portatori di handicap avrebbe fatto risparmiare al Reich ingenti quantità di denaro.

Discorsi sull’eugenetica

Discorsi sull’eugenetica non sono ancora completamente spariti oggi.

Esistono teorie che si propongono il miglioramento della condizione umana distinguendo caratteri ereditari favorevoli alla sopravvivenza dai caratteri sfavorevoli, da sopprimere. Esiste ancora una sostanziale differenza nella visione sociale tra un corpo “abile” e un corpo “disabile”. Si mira quindi alla riproduzione di soggetti socialmente desiderabili e di prevenire la nascita di quelli indesiderabili affetti da una qualche patologia o malformazione. Questo viene fatto, ad esempio, attraverso la diagnosi di malattie genetiche in gravidanza laddove si conosca l’eventuale presenza di un gene difettoso.

Da queste vicende, perlopiù storiche, deriva il pregiudizio nei confronti delle persone disabili considerate inefficienti e addirittura un costo enorme per lo Stato e la società, tanto da dover essere internati in strutture o addirittura eliminati.

Come si piò notare, al corpo è ancora data molta importanza. Esso ci può far provare gioia e dolore. Vive e muore. Prova intense sensazioni di desiderio e piacere fisico. Ci sono un certo numero di modi in cui gli ideali abilisti creano standard di cittadini autonomi minacciando di eliminare i disabili. Potremmo capire questo complicato fenomeno come il modo in cui il corpo è rappresentato socialmente. È un dato di fatto che il corpo, e il suo rapporto con il mondo, non è riducibile a un fatto meramente biologico o sociale.

La rappresentazione mediatica delle persone con disabilità

Un ruolo importante è svolto anche dai mass media e Social network, agenti di socializzazione secondaria e socialità, che vengono utilizzati come strumenti di interazione, comunicazione e trasmissione della cultura contemporanea. Essi sottolineano alcune caratteristiche della disabilità (dipendenza, asessualità) senza far emergere altri ruoli e capacità (genitorialità, indipendenza, competenza). Romanzi, film e cartoni animati sono ricche fonti di esempi sugli stereotipi, dipingendo i disabili come vittime tragiche o incompetenti. Addirittura, film recenti e pluripremiati come “Million Dollar Baby” o “Me Before you” rafforzano gli stereotipi secondo cui ogni volta il personaggio disabile sceglie di morire per non essere un peso per i propri cari. È possibile notare come, quasi sempre, i personaggi con una disabilità rappresentati nei film non siano realmente attori disabili. In questo modo viene sottolineata quindi l’esclusione da ogni tipo di carriera lavorativa importante.

In sintesi, tutta la rappresentazione cinematografica sulle persone disabili è sempre carica di pietismo e abilismo.

Conclusioni

Come si può evincere dall’articolo, le ideologie alla base delle logiche abiliste sono moltissime e sicuramente ne esisteranno tante altre. Per questo motivo ritengo fondamentale un importante lavoro di decostruzione dell’abilismo.

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